Troppa felicità (Too Much Happiness)
Gioca a shanghai con le sue storie, Alice Munro, da sempre. Getta sulla pagina posti, alberi, situazioni e donne, cucine, abiti e animali, e con mano ferma se li riprende, li riordina provvisoriamente dentro la storia successiva, di raccolta in raccolta. Intanto passano gli anni e le verità che accendono improvvise i suoi racconti si sono fatte longeve. Non perché durino, ma perché non smettono di accendersi di nuovo, emanando altra luce, un'altra luce.
Con Troppa felicità, tuttavia, il lettore avverte il passaggio in corsa di un'elettricità inedita, una scarica di tremenda libertà. Queste storie sembrano spingersi un passo oltre il segreto contenuto in storie passate, e non per consumarlo rivelandolo, ma per complicarne l'esito a partire dalla consapevolezza temeraria della vecchiaia.
E se altrove l'immaginazione aveva provato a raffigurarsi l'orrore della morte di un bambino, qui i figli a morire sono tre, e a ucciderli è il padre. Se altrove una madre imparava a sopportare l'abbandono della figlia, qui all'abbandono del figlio segue il coraggio di rappresentare l'incontro, anni dopo, con uno sconosciuto di cui un tempo si conosceva a memoria ogni millimetro di intimità. Se altrove la fragile e caparbia convenzionalità dell'infanzia coagulava in dispetti odiosi ai danni di una qualsiasi creatura debole, qui tocca il fondo di una banalità del male senza scampo.
Non è cambiato il narrare di Alice Munro, è solo un po' più lontano il luogo dove ci porta a incontrare noi stessi. E dove ci lascia, in medias res, sforbiciando una frase, a volte anche solo una parola, che non se ne va più.

Susanna Basso

***

«Ci risiamo, Alice Munro non fa che migliorare. A pennellate finissime, la sua visione restituisce ogni qualità dell'umano, dalla più generosa alla più corrotta, e l'effetto non può che definirsi magistrale».

«The San Francisco Chronicle»

«Munro è bravissima nella costruzione del racconto e nell'ideazione degli intrighi, e sa come trascinare il lettore in un clima freddamente angosciante, dove l'umanità sembra dare costantemente il peggio o il mediocre, la piena banalità del male di cui siamo intrisi».

Goffredo Fofi, «Internazionale»

«Dieci racconti di bellezza incandescente(...) Le sue raccolte, e anche questa, sembrano disegnare con pacata ma illuminante precisione i contorni implacabilmente imprecisi delle nostre attuali esistenze».

Mario Fortunato, «l'Espresso»

«"E poi arriva un altro breve racconto e ti risolve la vita" dice Alice Munro, quando le chiedono perchè non scriva romanzi. A noi arriva un altro breve racconto per sconvolgerci la vita. Accende una luce, poi di nuovo subito buio, ed ecco che ne comincia un altro».

Annalena Benini, «Io Donna»

«Lo stile della Munro è così misurato che niente appare eccessivo, e ogni gesto, ogni movente, ogni pensiero dei personaggi è come il risultato di uno scavo profondo, piuttosto che di un'esibizione sadica. E se l'orrore può assumere anche aspetti meno eclatanti, ma non per questo meno perturbanti, quello che sconcerta è la capacità della Munro di metterci davanti alla banalità del male senza comode vie di fuga, costringendoci a guardare dentro noi stessi».

Fabrizio Coscia, «Il Mattino»

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Troppa felicità (Too Much Happiness)
Gioca a shanghai con le sue storie, Alice Munro, da sempre. Getta sulla pagina posti, alberi, situazioni e donne, cucine, abiti e animali, e con mano ferma se li riprende, li riordina provvisoriamente dentro la storia successiva, di raccolta in raccolta. Intanto passano gli anni e le verità che accendono improvvise i suoi racconti si sono fatte longeve. Non perché durino, ma perché non smettono di accendersi di nuovo, emanando altra luce, un'altra luce.
Con Troppa felicità, tuttavia, il lettore avverte il passaggio in corsa di un'elettricità inedita, una scarica di tremenda libertà. Queste storie sembrano spingersi un passo oltre il segreto contenuto in storie passate, e non per consumarlo rivelandolo, ma per complicarne l'esito a partire dalla consapevolezza temeraria della vecchiaia.
E se altrove l'immaginazione aveva provato a raffigurarsi l'orrore della morte di un bambino, qui i figli a morire sono tre, e a ucciderli è il padre. Se altrove una madre imparava a sopportare l'abbandono della figlia, qui all'abbandono del figlio segue il coraggio di rappresentare l'incontro, anni dopo, con uno sconosciuto di cui un tempo si conosceva a memoria ogni millimetro di intimità. Se altrove la fragile e caparbia convenzionalità dell'infanzia coagulava in dispetti odiosi ai danni di una qualsiasi creatura debole, qui tocca il fondo di una banalità del male senza scampo.
Non è cambiato il narrare di Alice Munro, è solo un po' più lontano il luogo dove ci porta a incontrare noi stessi. E dove ci lascia, in medias res, sforbiciando una frase, a volte anche solo una parola, che non se ne va più.

Susanna Basso

***

«Ci risiamo, Alice Munro non fa che migliorare. A pennellate finissime, la sua visione restituisce ogni qualità dell'umano, dalla più generosa alla più corrotta, e l'effetto non può che definirsi magistrale».

«The San Francisco Chronicle»

«Munro è bravissima nella costruzione del racconto e nell'ideazione degli intrighi, e sa come trascinare il lettore in un clima freddamente angosciante, dove l'umanità sembra dare costantemente il peggio o il mediocre, la piena banalità del male di cui siamo intrisi».

Goffredo Fofi, «Internazionale»

«Dieci racconti di bellezza incandescente(...) Le sue raccolte, e anche questa, sembrano disegnare con pacata ma illuminante precisione i contorni implacabilmente imprecisi delle nostre attuali esistenze».

Mario Fortunato, «l'Espresso»

«"E poi arriva un altro breve racconto e ti risolve la vita" dice Alice Munro, quando le chiedono perchè non scriva romanzi. A noi arriva un altro breve racconto per sconvolgerci la vita. Accende una luce, poi di nuovo subito buio, ed ecco che ne comincia un altro».

Annalena Benini, «Io Donna»

«Lo stile della Munro è così misurato che niente appare eccessivo, e ogni gesto, ogni movente, ogni pensiero dei personaggi è come il risultato di uno scavo profondo, piuttosto che di un'esibizione sadica. E se l'orrore può assumere anche aspetti meno eclatanti, ma non per questo meno perturbanti, quello che sconcerta è la capacità della Munro di metterci davanti alla banalità del male senza comode vie di fuga, costringendoci a guardare dentro noi stessi».

Fabrizio Coscia, «Il Mattino»

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Gioca a shanghai con le sue storie, Alice Munro, da sempre. Getta sulla pagina posti, alberi, situazioni e donne, cucine, abiti e animali, e con mano ferma se li riprende, li riordina provvisoriamente dentro la storia successiva, di raccolta in raccolta. Intanto passano gli anni e le verità che accendono improvvise i suoi racconti si sono fatte longeve. Non perché durino, ma perché non smettono di accendersi di nuovo, emanando altra luce, un'altra luce.
Con Troppa felicità, tuttavia, il lettore avverte il passaggio in corsa di un'elettricità inedita, una scarica di tremenda libertà. Queste storie sembrano spingersi un passo oltre il segreto contenuto in storie passate, e non per consumarlo rivelandolo, ma per complicarne l'esito a partire dalla consapevolezza temeraria della vecchiaia.
E se altrove l'immaginazione aveva provato a raffigurarsi l'orrore della morte di un bambino, qui i figli a morire sono tre, e a ucciderli è il padre. Se altrove una madre imparava a sopportare l'abbandono della figlia, qui all'abbandono del figlio segue il coraggio di rappresentare l'incontro, anni dopo, con uno sconosciuto di cui un tempo si conosceva a memoria ogni millimetro di intimità. Se altrove la fragile e caparbia convenzionalità dell'infanzia coagulava in dispetti odiosi ai danni di una qualsiasi creatura debole, qui tocca il fondo di una banalità del male senza scampo.
Non è cambiato il narrare di Alice Munro, è solo un po' più lontano il luogo dove ci porta a incontrare noi stessi. E dove ci lascia, in medias res, sforbiciando una frase, a volte anche solo una parola, che non se ne va più.

Susanna Basso

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«Ci risiamo, Alice Munro non fa che migliorare. A pennellate finissime, la sua visione restituisce ogni qualità dell'umano, dalla più generosa alla più corrotta, e l'effetto non può che definirsi magistrale».

«The San Francisco Chronicle»

«Munro è bravissima nella costruzione del racconto e nell'ideazione degli intrighi, e sa come trascinare il lettore in un clima freddamente angosciante, dove l'umanità sembra dare costantemente il peggio o il mediocre, la piena banalità del male di cui siamo intrisi».

Goffredo Fofi, «Internazionale»

«Dieci racconti di bellezza incandescente(...) Le sue raccolte, e anche questa, sembrano disegnare con pacata ma illuminante precisione i contorni implacabilmente imprecisi delle nostre attuali esistenze».

Mario Fortunato, «l'Espresso»

«"E poi arriva un altro breve racconto e ti risolve la vita" dice Alice Munro, quando le chiedono perchè non scriva romanzi. A noi arriva un altro breve racconto per sconvolgerci la vita. Accende una luce, poi di nuovo subito buio, ed ecco che ne comincia un altro».

Annalena Benini, «Io Donna»

«Lo stile della Munro è così misurato che niente appare eccessivo, e ogni gesto, ogni movente, ogni pensiero dei personaggi è come il risultato di uno scavo profondo, piuttosto che di un'esibizione sadica. E se l'orrore può assumere anche aspetti meno eclatanti, ma non per questo meno perturbanti, quello che sconcerta è la capacità della Munro di metterci davanti alla banalità del male senza comode vie di fuga, costringendoci a guardare dentro noi stessi».

Fabrizio Coscia, «Il Mattino»


Product Details

ISBN-13: 9788858404997
Publisher: EINAUDI
Publication date: 10/18/2011
Sold by: GIULIO EINAUDI EDITORE - EBKS
Format: eBook
File size: 411 KB
Language: Italian

About the Author

About The Author
Even though Alice Munro is known for her love stories, don't mistake her for just another romance writer. Munro never romanticizes love, but rather presents it in all of its frustrating complexity. She does not feel impelled to tack happy endings onto her tales of heartbreak and healing. As a result, Munro's wholly credible love stories have marked her as a true original who spins stories that are as honest as they are dramatic.

Alice Munro got her start in writing as a teenager in Ontario, and published her first story while attending Western Ontario University in 1950. Her first book, a collection of short stories titled Dance of the Happy Shades, would not be published until 1968, but when it arrived, Munro rapidly established herself as a unique voice in contemporary literature. Over the course of fifteen short stories, Munro displayed a firmly focused vision, detailing the loves and life-altering moments of the inhabitants of rural Ontario. Munro takes a gradual, methodical approach to unraveling her stories, often developing a character's perspective through several paragraphs, only to demolish it with a single, biting sentence. Yet she also explores those heartbreaking delusions of her characters with humanity, undercutting the bitterness with genuine compassion.

Munro was instantly recognized for her debut collection of stories, winning the prestigious Governor General's Award in Canada. Monroe would then spend the majority of her career writing short stories rather than novels. "I want to tell a story, in the old-fashioned way -- what happens to somebody -- but I want that 'what happens' to be delivered with quite a bit of interruption, turnarounds, and strangeness," she explained to Random House.com. "I want the reader to feel something is astonishing -- not the 'what happens' but the way everything happens. These long short story fictions do that best, for me." Munro would only write one novel, Lives of Girls and Women, a coming-of-age tale about a young girl named Del Jordan, which is actually structured more like a collection of short stories than a typical novel. Throughout the rest of her work, she would continue to explore themes of love and the way memories shape one's life in short story collections such as Friend of My Youth, Open Secrets, and the award-winning The Love of a Good Woman, and her most recent, Runaway.

Because her stories are so unencumbered by clichés and speak with such clarity and truthfulness, it is often assumed that Munro's work is largely autobiographical. The fact that she chooses to set so many of her tales in her hometown only fuel these assumptions further. However, Munro says that very little of her material is based on her own life, and takes a more creative approach to inventing her finely developed characters. "Suppose you have -- in memory -- a young woman stepping off a train in an outfit so elegant her family is compelled to take her down a peg (as happened to me once)," she explains, "and it somehow becomes a wife who's been recovering from a mental breakdown, met by her husband and his mother and the mother's nurse whom the husband doesn't yet know he's in love with. How did that happen? I don't know."

As Munro grows older, her themes are turning more and more toward illness and death, yet she continues to display a startling vitality and youthfulness in her writing. A writer with a long and celebrated career, Alice Munro's work is just as compelling, honest, and insightful as ever.

Hometown:

Clinton, Ontario, and Comox, British Columbia

Date of Birth:

July 10, 1931

Place of Birth:

Wingham, Ontario, Canada

Education:

University of Western Ontario (no degree)
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